Sette vizi per sette scrittori – Gianluca Morozzi e l’invidia

Tutti la provano, nessuno vuole confessarla, che cosa è?

Ovvio, l’invidia.

Si può ammettere di farsi prendere dall’ira, di crogiolarsi nella pigrizia o di soffrire per gelosia, ma di essere rosi dall’invidia proprio no.

«Io invidioso? Ma stai scherzando…».

L’emozione negativa più rifiutata, perché in fondo è un’ammissione di inferiorità, magari accompagnata anche dal tentativo di danneggiare l’altro, in modo subdolo, meschino.

L’invidia invece può essere benigna quando porta all’emulazione. Questo è il caso in cui si canalizzano le energie per cercare di ottenere un bene; è una spinta a metterci in moto, a raggiungere un traguardo.

La competizione non è forse così? Nello sport chi arriva secondo potrà invidiare chi l’ha superato, ma si allenerà per superarlo alla gara successiva.

Ma all’invidia è collegato anche un piacere. La soddisfazione davanti alle disgrazie altrui. Se la squadra di calcio rivale perde, se un collega di lavoro ha un problema… si può provare piacere. Un piacere maligno, certo, quello generato dall’invidia.

Oggi ne parliamo con Gianluca Morozzi, chissà se Gianluca avrà confessato di essere invidioso?

Gianluca Morozzi è nato a Bologna nel 1971. Ha esordito nel 2001 con il romanzo “Despero”(Fernandel) e ha raggiunto il successo nel 2004 con “Blackout”(Guanda), da cui è stato tratto il film omonimo. Ha pubblicato finora 28 romanzi e 212 racconti. Oltre che scrittore, è musicista e conduttore radiofonico. Le sue ultime uscite sono “Il vangelo del coyote” (Mondadori) e “Gli annientatori” (TEA).


  • Che rapporto hai con l’invidia?

Inesistente, e comunque molto sano. Non è un sentimento che fa parte di me, se non in una misura umana e naturale.

  • L’invidia per altri scrittori, per i libri scritti da questi può essere una spinta alla scrittura, alla competizione nel raccontare storie?

Certo, intendo questo con “molto sano”. Se leggo un romanzo o un racconto straordinario non penso “voglio la morte immediata dell’artefice di queste bellissime pagine”, ma “che bello, voglio arrivare a scrivere così anch’io!”

  • Ti è mai capitato di pensare che l’invidia è forse un eccesso d’amore?

Per chi la vive in modo sano, lo è di sicuro. O quantomeno un eccesso di ammirazione.

  • Quali sono i scrittori, se ci sono, di cui hai provato invidia per quello che hanno scritto?

Philip Roth, Dino Buzzati, Agatha Christie, Agota Kristof, Mordecai Richler, Luigi Malerba… be’, l’elenco può andare avanti parecchio.

  • Quale libro, se ce n’è uno, ha affrontato questo argomento (invidia) dandone una lettura che ti ha convinto o deluso?

“Pastorale americana”, l’invidia del giovane Zuckerman per lo Svedese, ai tempi del college (personaggio del quale racconta la rovinosa caduta successiva). O “Il soccombente” di Bernhard, l’invidia del narratore per il talento inarrivabile di Glenn Gould.

  • Pensi che possa essere considerato ancora un vizio, un peccato capitale, quelli che Aristotele definì gli “abiti del male”?

Quando sconfina nel voler fare del male all’oggetto di invidia, sì.

  • Quali sono secondo te oggi i peccati capitali, i mali che affliggono la nostra società, se ci sono?

Il razzismo. L’ignoranza elevata a virtù. L’ottusità. L’incapacità di guardare un centimetro al di fuori del nostro giardino.

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