Distanza

data 3 dicembre

Distanza

Samantha Terrasi

Tutto quello che ho di me e mia madre è una misura. Uno spazio preciso. Una distanza che è sempre stata in salita. Lei mi ha fatto nascere. Lavato, nutrito. In una sola parola: cresciuta. L’amore? Potrei dire che fosse per entrambe una cosa da dilettanti o da persone troppe esperte. Parlava di doveri, mia madre. Verso se stessa, verso la società, verso mio padre. In mia presenza si limitava ad allungare la mano e a presentarmi come sua figlia e basta. Qualsiasi cosa facessi, io ero in fondo alla scala e lei in cima. Di spalle. Più tentavo di salire, più c’erano scalini da fare. All’inizio ho cercato di raggiungerla, poi quando ho capito che lei sarebbe stata una madre irraggiungibile, l’ho lasciata lì, in cima. Da sola.
– Tua madre era così.
– Così come zia?
Mia zia quando ci veniva a trovare, portava i taralli dolci. Lo zucchero rimaneva appiccicato alle mani, ed era bello sedersi in cucina e leccarsi le dita.
– Quando siamo entrate in collegio, lei mi teneva stretta la gonna. Io ho pianto, lei no.
– Perché?
– Perché… perché… si sta mettendo brutto, è meglio che mi prepari.
– Ti prego, zia
– Lei aveva una specie di muro davanti agli occhi. Un muro che l’ha trincerata nei suoi ricordi. Non so neanche quali, a dir la verità, visto che era così piccola.
– Com’era il collegio?
– Siediti composta.
– Uffa, zia.
– Il collegio era un posto dove la luce arrivava solo d’estate. Gli inverni erano lunghi.
– E vostro padre?
– Ci veniva a trovare, una domenica al mese e il giorno di Natale.
– Vi sentivate sole?
– Sì, ma non lo eravamo perché in fondo c’erano tante ragazze come noi. Ci si rintanava negli stanzoni e sognavamo.
– Non avete mai pensato di scappare?
– Basta mangiare taralli o ti verrà mal di pancia.
– Ancora uno, zia.
– Solo uno, poi li metto nella credenza. Guarda che vento che si è alzato. Devo andare.
– Non hai mai pensato di fuggire?
– La fuga era sempre nei miei pensieri, tua madre invece non parlava mai. Io e altre due ragazze, volevamo solo scappare lontano e non tornare più.
– E non l’avete mai fatto?
– No. Avevamo paura delle punizioni. E poi senza soldi, tre ragazze dove mai potevamo andare?
– Lontano, magari c’era un posto migliore.
– Nessun posto sarebbe stato come casa. La felicità ha cambiato destinazione quando… ma bambina perché ti ostini sempre a sentire questa storia?
– Perché tu e lei mi sembrate così diverse.
– Siamo due orfane che hanno reagito in maniera diversa. Tutto qui. Ora basta domande, finisci il latte che devo andare.
– Lei è una specie di ombra. La vedi solo quando si avvicina troppo, si muove attraverso gli oggetti, le persone. Mi dice Buongiorno. Come fossi parte della servitù. Io vorrei tanto…
– Ora vai a finire i compiti. Io devo tornare a casa, la corriera passa fra un’ora.
– Posso farti leggere una cosa?
– Cosa?
– Una poesia. Eccola la tengo sempre con me.
– Uh signur… Lascia perdere, pensa a costruirti un futuro.
– Ma l’amore zia?
– Pensa a studiare e lascia perdere l’amore.

La camera di mia madre aveva un piccolo sofà con i fiorellini. Da piccola pensavo che l’amore avesse il colore di quel sofà. Rosa. Non gli ho mai dato nella mia mente una tonalità più intensa, l’amore era più una sfumatura. Leggera, quasi impercettibile. Il rosa di quel sofà infatti era così delicato che in alcuni momenti della giornata, quando la luce si intrufolava quasi di nascosto nella camera, cambiava colore. Le gambe invece erano forti virgole di legno color miele. Quando mi sono sposata, avrei voluto portarlo via, tanto mia madre non ci si sedeva quasi mai. Era sempre in piedi, con il cappotto addosso pronta per uscire. Lei diceva che andava ad aiutare gli altri. Ma nella parola altri non era conteggiata la nostra famiglia.
L’ho vista però sedersi su quel sofà una volta sola. Guardava in direzione della finestra. Le tende erano tirate. Non si vedeva nulla. È rimasta così per parecchio tempo. Le mani giunte in grembo. Pensavo si sentisse male. Lei che non si fermava mai. La porta era aperta. La cameriera aveva il pomeriggio libero così eravamo sole in casa. Quando sono passata davanti alla sua camera, non l’avevo vista subito, poi mi sono fermata. Volevo spiarla, a dir la verità. Mi ero nascosta ma la mia gonna spuntava dallo stipite della porta. Volevo che si accorgesse di me, mi chiamasse. Mi dicesse “Oggi sono malata, perché non ti siedi qui vicino a me e non mi tieni compagnia”. Volevo che la nostra distanza si accorciasse.
Sul comò era poggiata la collana di perle. Non la toglieva mai, così mi sono sporta di più. Lei era sempre lì ferma, immobile. Volevo entrare, dire qualcosa ma ogni cosa mi sembrava fuori luogo. Alla fine si è accorta di me. Si è alzata. Non ha emesso alcun rumore, ma forse io non l’avrei sentito tanto mi batteva forte il cuore. Mi ha guardata dall’alto in basso come faceva di solito ogni giorno prima di andare a scuola. E io cadevo sempre nella sua trappola. Avevo paura di avere qualcosa fuori posto e così abbassavo lo sguardo. Lei mi dava uno schiaffo in testa. E io battevo il tacco della scarpa perché ancora una volta avevo sbagliato. Sbagliai di nuovo.

– Signora il motivo di questa visita?
– Sono svariati anni che io e mio marito proviamo ad avere un bambino e non c’è niente di fisico che non va. Così mi hanno consigliato di…
– Ha fatto bene a venire. Lei come si immagina come madre?
– Non lo so, vorrei avere un figlio per ricoprirlo d’amore. Portarlo al mare, fargli fare tante cose belle.
– È una cosa normale.
– Sua madre è stata una madre presente?
– A suo modo.
– Cosa significa a suo modo? Era troppo protettiva?
– Una protezione che ti rendeva sola al mondo.
– Cosa intende?
– Non so se mi mia madre si è mai davvero interessata alla mia vita.
– Non le faceva sentire la sua presenza? Era distante?
– Sì, c’era ma era come se stesse dentro uno specchio.
– Suo padre?
– Lavora tutto il giorno, la rispettava. Era lei che mi educava.
– E lei cosa vorrebbe per suo figlio.
– Voglio che collezioni ricordi felici. Non attese.
– Dove si trova ora sua madre?
– A casa mia.

Ho continuato a rincorrere la parola felicità anche dopo sposata. Pensavo che avere un marito, una casa da costruire, e un lavoro rendesse felici. Non è stato così. Mi sono iscritta ai corsi di cucina, e di cucito. In tutto ho realizzato una torta che non ha lievitato e una tovaglia sbilenca. Volevo realizzare tante cose ma poi finivo per buttare tutto nel secchio. I figli non sono mai arrivati e mia madre mi ha sempre guardato dall’alto anche per questo. Non riuscivo a restare incinta, nonostante le cure, le inseminazioni, lo psicologo. La mia pancia rimaneva vuota e veniva sottolineato ogni domenica con la sua solita telefonata. Voleva sapere le belle novità che non arrivavano mai.
– Ma chissà quanti bei vestiti avrà tua madre nell’armadio.
– Tanti.
– E tu non li provi mai?
– No.
– Io vorrei avere una madre come la tua. Sempre elegante.
– Non entro mai in camera sua.
– Da grande voglio anche io sposare un uomo ricco e andare in parrocchia con la pelliccia e aiutare gli altri. Se hai i soldi gli altri ti rispettano.
– Ma perché dici così?
– Mia madre stira tutto il giorno e cosa mi posso permettere? Calze usate. Ma tu che ne sai?

Tutti adoravano mia madre. Aveva dei gesti da aristocratica. Si toglieva il cappello e la forcina che lo teneva fermo. Antonietta, la cameriera, si metteva dietro di lei e raccoglieva tutto quello che lei depositava nelle sue mani. Lo faceva con una grazia innata. Poi andava da mio padre. Non ho mai sentito una voce fuori posto. Un urlo. Una discussione. Usciva come entrava. Dava istruzioni per la cena e si accarezzava la collana. Poi spariva nel suo mondo fatto di specchi che non riflettevano. Si lasciava inghiottire e io scomparivo dietro un’altra attesa. La cena le veniva spesso servita in camera. Una camera che abitava da sola. Non la divideva neanche con mio padre che nonostante tutto le è rimasto accanto. Poteva fuggire lontano, invece è rimasto in piedi, incatenato a una serie di doveri che mia madre aveva imposto a tutti.

– Hai comprato le mele? Posso mangiare solo le mele.
– Sì, mamma ho comprato le mele.
– Devi comprare solo quelle gialle, quelle rosse fanno venire il cancro l’ha detto la televisione.
– Sì, mamma.
– Sei andata dal dottore?
– Sono andata ieri.
– Mi deve visitare io non posso stare così. Ho qualcosa che non va. Lo vedi che sono sempre seduta qui?
– Mamma il dottore viene già due volte alla settimana.
La solitudine è rimasta un vestito appeso dentro a un armadio che nessuno ha mai aperto insieme alle decorazioni di Natale mai usate altrimenti si sciupavano. Si tenevano le palline di vetro incartate per paura che si rompessero e l’albero buono in cantina. Il Natale passava inosservato. Era la grande mancanza che si traduceva in un profondo fosso senza uscita. D’altronde io non sapevo cosa significasse essere strappati dalla mano di tua madre mentre sta per morire. Lei sì. Non lo sapevo, ma mi sentivo orfana anche io. Orfana due volte. Gli anni sono passati. Il Natale è diventato solo un comprare regali e scartare cose inutili. Conservo solo una pallina di vetro che per paura di romperla la metto in mezzo all’albero, al riparo da cadute accidentali, come se fosse quel figlio tanto desiderato. Anche lei forse un giorno si romperà, come si è infranto il mio sogno di sedere in tre sotto l’albero di Natale, ma ora non ci penso. Leggo libri mentre la guardo. Sono diventata la madre di madre.

– Hai comprato le mele?
– Sì, mamma.
Devi comprare solo quelle gialle…
– Lo so mamma, lo hai già detto.
– Perché mi strilli sempre. Non sono sorda.
– Scusa mamma.
– E non chiamarmi così.
Il nostro spazio ora è la distanza che va dalla sedia su cui si rintana tutto il giorno e il letto dove dorme. Certi giorni non si ricorda neanche più chi sono. E questi giorni stanno aumentando, forse così sarà lei a scendere da quella scala dove la mia mente l’ha messa. E non io a raggiungerla.


samySamantha Terrasi

Vivo tra Dresda e Roma dove sono nata uno splendido 24 gennaio del 1974. Mia nonna avrebbe voluto che mi chiamassi Maria Concetta, ma per fortuna mio padre di ritorno da un viaggio negli States mi ha chiamato Samantha rigorosamente con la h. Formazione scientifica e uno splendido lavoro: l’insegnante. Ho visto pubblicate diverse poesie e racconti nelle Istant Anthology della Perrone e nelle edizioni Erudita (marchio Perrone).
Vincitrice del terzo premio del “Concorso Granelli di Parole 2009” ho deciso di raccogliere tutte le mie poesie in una raccolta Parole nel vento, Aletti ed. nel 2012. Ho sperimentato il noir e il racconto erotico che hanno trovato casa nelle antologie Ed. Rossochina.
A luglio 2014 sono stata finalista con un giallo al concorso “Dov’è Anna” Troskij Cafè- Noir edizione Montegrappa vincendo poi l’edizione del 2015.
E dopo tanto attendere, concedetemi il gioco di parole, arriva il primo romanzo, Ti aspetto, Lupo editore. Nello stesso periodo vinco il premio Città di Colonna, la Tridacna XI ed. con il racconto Cordone.
Partecipo al primo talent letterario formulato da Pesce pirata, Fattore pesce. E’ stata una scarica di adrenalina in sei puntate. A Maggio mi ritrovo a Modica come finalista al primo concorso Scritti Iblei e vinco con il racconto La terra nel mare. Il 2016 è il momento di due web magazine. Il Caffè Vitruviano e Mi faccio di Cultura. Quinta finalista al concorso Caffè Moak nel 2016, continua la mia avventura tra il mondo delle parole, dei sogni e di quello che non si riesce a dire solo con gli occhi.
Tornare non era come partire. C’erano delle verità da affrontare. Non si poteva passare la vita ad essere solo una boa di salvataggio.”

Ecco le risposte di Samantha alle nostre curiosità sul Natale

1. Qual è il Natale che ricordi con particolare attenzione e perché?
Eravamo a casa di mia zia, a Roma, Trastevere. Come sempre c’erano moltissimi pacchetti da scartare. In uno trovai una scatola, all’apparenza vuota. Di pizzo e fiori, se veniva aperta non conteneva che carta velina. L’ho guardata a lungo, per quanto fosse graziosa non conteneva niente di importante. L’ho tenuta tutta la giornata vicino, sperando che dentro contenesse un ingrediente magico. Non è successo nulla, se non anni dopo la scomparsa di mia nonna, ho scoperto esserci un cassettino che si apriva all’interno della scatola. Era ben nascosto. La piccola linguetta di tessuto si confondeva con il pizzo. Dentro c’era una spilla e un biglietto di mia nonna che mi augurava Buon Natale.
2. Se potessi scegliere, cosa vorresti ti regalassero per Natale?
La possibilità di poter volare senza ali.
3. Se pensi al Natale, quale racconto, romanzo o poesia ti viene in mente?
Dickens, il racconto di Natale.
4. Non è Natale senza…continua tu.
Non è Natale senza la famiglia che in questo momento è lontana.
5. Pandoro o panettone?
Panettone tutto l’anno.

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