Pasolini…ma chi? Quel frocio, ovvero lo spirito del ’68

Era il 1982 quando lasciai Centocelle e ci trasferimmo a casa di mio Nonno, sulla Tuscolana; all’epoca frequentavo l’Istituto tecnico agrario. Un compagno di classe con cui avevo fatto amicizia abitava in dei caseggiati poco lontani dal mio, erano palazzi squadrati, alti e anonimi che terminavano su Piazza di Cinecittà, periferia est di Roma.

Si chiamava Paolo questo mio amico e fu grazie a lui che cominciai a “bazzicare” un gruppo di ragazzi del posto, abbandonando la vecchia comitiva.

La domenica mattina ci si incontrava per andare a giocare a pallone al parco dell’acquedotto, due porte piazzate in mezzo a un prato, l’ombra dei pini domestici e i resti dell’impero romano che correvano ai lati con i loro archi monumentali.

Le squadre si facevano al momento, con le persone presenti…chi c’era giocava. Quella volta, con mio grande stupore, tra i giocatori della partita domenicale c’era Ninetto Davoli.

Per me, cresciuto con i caroselli e le prime tv commerciali (noi le chiamavamo “tv private”) Ninetto Davoli era “fornescion”, il garzone del forno dove si producevano i crackers Saiwa. Era quello che andava in bici e portava i pacchi ancora fragranti, cantando a squarciagola … one for you, one for me... (hit disco dance dei fratelli La Bionda). Insomma non l’associavo a Pasolini, non era l’attore di Uccellacci e Uccellini, la spalla di Totò, la faccia simpatica del romano di borgata sempre sorridente, senza problemi … no, niente di tutto questo.

In fondo dovete capire che gli anni ’80, quelli in cui la domenica giocavo a pallone, si possono definire come anni del disimpegno o come anni in cui è iniziata “l’era del disimpegno” e forse ancora non è finita; anni preparatori ai successivi e secondo me peggiori anni ’90 (quelli degli Yuppies). D’altronde che volete farci, c’era già stato il rivoluzionario 68, i radicali con Pannella e le lotte referendarie, il movimento del ’77 e la lotta armata, fino ad arrivare al rapimento di Moro e alla sua morte.

Noi giovani di borgata negli anni ’80 della politica non ci interessavamo. Oddio qualcuno sì, quelli che a Roma (nello slang del tempo) venivano chiamati “I pelosi”, per via di quei maglioni e poncho stile sudamericano, in lana d’alpaca colorati e pelosi appunto. Quelli sì, erano i nostalgici del ’68. Quelli che a scuola usavano la frase:..abbiamo deliberato che...per dire che avevano deciso di protestare per qualcosa. Erano una minoranza, ma in classe uno di loro era mio amico e anche lui si chiamava Paolo, anche lui abitava in borgata, si faceva i spinelli, giocava a pallone e diceva che leggeva Marx. Io non è che ci credevo troppo, però lo citava spesso e qualcosa doveva averla letta e così si atteggiava a fare l’intellettualoide impegnato. Mi era simpatico Paolo il marxista, anzi adesso che ricordo meglio lui si definiva trotskista, perché si vantava di praticare la rivoluzione permanente.

Ninetto non giocava male, correva sulla fascia e tutti gli passavano il pallone, era una celebrità in campo e tutti avevano un occhio di riguardo. Correvo anche io, facendo avanti e indietro senza però vedere un passaggio, ero l’ultimo arrivato, nessun mi conosceva e non si fidavano a lasciarmi il pallone, a parte Paolo (non il trotskista) il mio vicino di casa. Verso mezzogiorno la partita finì, ma Davoli andò via prima, salutando tutti con il suo perenne sorriso e quindi non feci in tempo neanche a scambiarci due parole.

Il giorno dopo a scuola mi capitò di raccontare ai compagni di questo mio incontro con Ninetto Davoli e fu allora che Paolo (stavolta il trotskista) mi parlò di Pasolini.

– Quindi non hai visto il Vangelo secondo Matteo e nemmeno Uccellacci e Uccellini?

– No – risposi io candidamente.

– Per Pasolini la saggezza, la salvezza del mondo non possono essere nelle mani di pochi, di una élite borghese. ma si deve partire dagli ultimi, dal popolo, Gesù era un comunista, un rivoluzionario. – cercava di indottrinarmi Paolo – lui usava attori non professionisti, gente di borgata, facce scavate dal lavoro – quando nel gruppo si avvicinò Luca che alla parola – “Pasolini era…” – interruppe Paolo e il suo comizio con un diretto e sprezzante – …ma chi? Quel frocio.

Il modo in cui Pasolini è vissuto ha lasciato il segno nella memoria collettiva. La cronaca lo ha visto tante volte protagonista, in particolare quel 2 novembre del 1975 quando all’ora di pranzo il telegiornale diede la sconvolgente notizia del ritrovamento del suo cadavere brutalizzato in un campetto sterrato di Ostia Scalo.

Quella stessa notte, un 17enne, tale Pino Pelosi fu fermato dai carabinieri sul lungomare di Ostia alla guida dell’Alfa di Pasolini. L’accusa per Pelosi inizialmente riguardò solo il furto dell’auto, che i documenti a bordo riconducevano a Pier Paolo, ma la presenza, accanto al corpo dell’intellettuale, di un grosso anello di Pelosi fece cambiare la prospettiva delle indagini.

Pelosi alla fine confessò: disse di essere stato caricato in macchina da Paolini, di essersi recato con lui allo Scalo di Ostia, dove l’incontro a sfondo sessuale sarebbe degenerato in alterco, quindi in colluttazione. Pelosi affermò di essere stato colpito con un bastone e di essersi quindi difeso con una tavola di legno, l’insegna scritta a mano di Via dell’Idroscalo, fuggendo poi a bordo dell’auto del Regista-scrittore, dopo averlo lasciato a terra nella notte.

Le certezze sulla sua morte durarono lo spazio di un mattino. Mentre Pelosi entrò a Rebibbia, iniziarono a farsi strada le idee del complotto e della matrice politica del delitto. Questa tesi sarebbe stata avvalorata da alcune testimonianze raccolte tra gli abitanti delle baracche vicine, che non avrebbero visto, ma piuttosto sentito la colluttazione tra un gruppo di persone e non solo tra Pelosi e Pasolini.

Gli amici di Paolini affermarono che Pier Paolo si stava muovendo negli ultimi mesi su un terreno minato. Aveva attaccato la DC, accusata apertamente di continuità con il fascismo. Ma soprattutto aveva ritirato fuori il caso della morte di Enrico Mattei, facendo il nome di Eugenio Cefis (presidente Montedison) come presunto mandante. Insomma da una parte i sostenitori del fatto che il delitto era stato premeditato, si era trattato dell’eliminazione di un intellettuale scomodo per tutti. A destra, soprattutto, ma anche di una certa sinistra (non va dimenticato che dal PCI Pasolini era stato anche espulso, proprio per la sua manifesta omosessualità). Dunque, Pasolini morto per antifascismo, ucciso dallo Stato, dai servizi segreti, dalla DC.

Dall’altra parte c’era chi pensava che non si gira di notte in auto per comprare minorenni, come Andreotti, che infatti dichiarò: “Se l’è cercata”.

Il ’75 era stato teatro di un altro delitto che dalle cronache di solito viene definito “efferato”, quello definito del massacro del Circeo. Il fatto coinvolse due giovani amiche Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, che furono attirate da tre ragazzi della “Roma bene”: Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, col pretesto di una fantomatica festa, in una villa di proprietà della famiglia di quest’ultimo, e qui torturate ferocemente fino a provocare la morte della Lopez. La Colasanti si salvò fingendosi morta e chiedendo disperatamente aiuto mentre era rinchiusa nel bagagliaio dell’auto di uno dei tre, che nel frattempo erano andati al ristorante a mangiare.

Questo episodio, come altri dell’epoca fu anch’esso occasione e pretesto per uno scontro politico, ne scrisse in merito Italo Calvino sul Corriere della Sera, nel famoso articolo dell’8 ottobre 1975 “Delitto in Europa” in cui descrive e analizza la bestialità del crimine che si era scatenato su due donne indifese. Delitto frutto di una società «sessista» e «classista» dove la sopraffazione senza confini su donne «proletarie» è la manifestazione di una condizione di illegittimo privilegio. I tre assassini del Circeo divennero l’identificazione di un “Male” politico, l’incarnazione di una ideologia: il fascismo, che andava oltre la dimensione politica vera e propria per trasformarsi in una condizione della psiche. Ne riporto uno stralcio, con un’analisi della società quanto mai attuale:

Nella Roma di oggi quello che sgomenta è che questi esercizi mostruosi avvengono nel clima della permissività assoluta, senza più l’ombra di una sfida alle costrizioni repressive, si presentano con la sguaiataggine truculenta delle bravate da caffè, con la sicurezza di farla franca di strati sociali per cui tutto è stato sempre facile, una sicurezza che fa passare in meno che non si dica dai pestaggi all’uscita della scuola alle carneficine nelle ville del week-end

Gli rispose proprio Pasolini pochi giorni prima della sua morte, con un articolo sul “Mondo” il 30 ottobre 1975, di cui riporto uno stralcio:

Tu dici: «I responsabili della carneficina del Circeo sono in molti e si comportano come se quello che hanno fatto fosse perfettamente naturale, come se avessero dietro di loro un ambiente e una mentalità che li comprende e li ammira».
Ma perché questo?
Tu dici: «Nella Roma di oggi quello che sgomenta è che questi esercizi mostruosi avvengono nel clima della permissività assoluta, senza più l’ombra di una sfida alle costruzioni repressive».
Ma perché questo?
Tu dici: «il pericolo vero viene dall’estendersi nella nostra società di strati cancerosi».
Ma perché questo?
Tu dici: «Non c’è che un passo dall’atonia morale e dalla irresponsabilità sociale (di una parte della borghesia italiana, tu dici) alla pratica di seviziare e massacrare».
Ma perché questo?
Tu dici: «Viviamo in un mondo in cui l’escalation nel massacro e nella umiliazione della persona è uno dei segni più vistosi del divenire storico (onde criminalità politica e criminalità sessuale sembrano in questo caso definizioni riduttive e ottimistiche, tu dici)».
Ma perché questo?
Tu dici «I nazisti possono essere largamente superati in crudeltà in ogni momento».
Ma perché questo?
Tu dici «In altri paesi la crisi è la stessa, ma incide in uno spessore di società più solido».
Ma perché questo?
Io sono più di due anni che cerco di spiegarli e volgarizzarli questi perché….

Pasolini polemizza con Calvino dicendo che parlare di una parte della borghesia come colpevole è un discorso antico e meccanico. Per Pasolini se a fare le stesse cose fossero stati dei poveri delle borgate romane oppure dei poveri immigrati a Milano o a Torino, l’intellighenzia della sinistra non ne avrebbe parlato tanto e in quel modo… Perché i poveri delle borgate o i poveri immigrati sono considerati tutti delinquenti, a priori. Eppure Pasolini scrive a Calvino che i “poveri” delle borgate romane e i “poveri” immigrati, cioè i giovani del popolo, possono fare e fanno effettivamente (come dicono con spaventosa chiarezza le cronache) le stesse cose che hanno fatto i giovani dei Parioli: e con lo stesso identico spirito, quello che è oggetto della tua “descrittività”.
I giovani delle borgate di Roma fanno tutte le sere centinaia di orge (le chiamano “batterie”) simili a quelle del Circeo…

Ma Pasolini a differenza di Calvino trovava il colpevole del processo di degradazione della società nel «consumismo» che distrugge tutti i valori precedenti e al loro posto instaura un mondo senza princìpi e spietato.

Non si può che essere vittime e Pasolini lo fu.

Pasolini non piaceva ai politici, come alla borghesia industriale. Neppure i giovani del ’68 aveva risparmiato, parteggiando per i poliziotti proletari.

Cosa ci è rimasto dello spirito che spingeva Pasolini a sferzare la società con i suoi “Scritti corsari”, In fondo lo stesso spirito che animava il ’68. Cosa è rimasto di quelle novità, quella voglia di essere liberi, fuori dagli schemi, come voleva essere Pier Paolo Paolini, senza ipocrisia, puri, senza sovrastrutture. Cosa che Pasolini aveva intravisto nel sottoproletariato degli anni 50/60, che rubava è vero, ma non era falso nei rapporti interpersonali, forse cinico, violento, ma “vero” nel senso che possedeva in modo totale i caratteri che ti permettevano di individuarne l’essenza, era quindi in un certo qual modo genuino, sincero.

Pensava forse che partendo da loro si potesse arrivare a un mondo dove la parola “frocio” non avesse significati nascosti, non fosse usata per disprezzare o denigrare, ma venisse accettata per quello che era, un po’ come quando in borgata ci si saluta con un pacca sulla spalla e si dice “a stronzo come stai”.

Mi dispiace non averlo incontrato Pierpa’, pure a lui piaceva giocare a pallone. Magari quando sarà il momento sia per me, sia per Ninetto Davoli, che saremo nei prati verdi di Manitù lo incontriamo e ci facciamo un partita. Io Ninetto a correre sulle fasce a fare i terzini e lui al centro della difesa a giocare da libero, come è sempre stato.

3 Risposte a “Pasolini…ma chi? Quel frocio, ovvero lo spirito del ’68”

  1. particolare questo brano, tra racconto e saggio.
    la tua bravura sta soprattutto nell’esserti ritagliata un ruolo di fantasia come chiave per parlare con più leggerezza, senza paludamenti da saggista del Pasolini polemista, sempre controcorrente e sempre acuto.
    complimenti
    ml

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