L’acero di Natale

data 6 dicembre

L’acero di Natale

Elena Gasparri

Caro Stefano,
mi hai chiesto di darti degli spunti sul Natale per l’ennesimo articolo richiesto dalla tua direttrice, ma a me vengono in mente solo storie tristi o spataffiate moraliste. Il consumismo occidentale, l’ipocrisia dei sorrisi e del perbenismo, gli sprechi e gli eccessi che evidenziano tutta la disparità sociale attuale.
Potrei anche suggerirti qualcosa di introspettivo e filo-psicologico, malinconie antiche e traumi irrisolti. La rivelazione che Babbo Natale non esiste ne ha creati molti, cosa credi. Ma fuori il cielo è grigio e l’inverno avanza, e io non ho voglia di farmi abitare da nostalgie.
Perciò parlerò di Natale.
Sì, Natale. Quel bambino che veniva a scuola con noi, te lo ricordi? L’hanno chiamato così perché alla mamma avevano detto che sarebbe stato difficilissimo rimanere incinta. E invece eccolo lì, quel bel pancino nel corpo esile di Sofia. Anche Natale era di costituzione piccola, tu lo prendevi in giro insieme a Nicola e Marco…quanto ci rimaneva male!
Poi in quinta elementare il padre ha accettato una proposta di lavoro in Germania, e lui è partito senza fare troppo rumore.
Ti ricordi che la maestra ci aveva chiesto di portare un vasetto e della terra in classe? Avevamo piantato dei semi. Quello di Natale era rimasto da solo, in valigia non ci stava. L’ho annaffiato insieme al mio e alla fine dell’anno l’ho portato a casa. Poi ho scoperto che era il seme di un acero. Sì i miei hanno tentato di convincermi che occupava troppo spazio in giardino, e che poi quando viene colpito dagli afidi diventa appiccicoso e con lui tutto il prato, però no, quell’albero non si poteva toccare. Una notte avevo dormito in tenda accanto a lui per protesta. Papà mi aveva comunicato che quel weekend l’avrebbe tagliato. Avrò avuto 13 anni, e al suo rientro a casa dal lavoro mi ha trovata già organizzata in giardino con sacco a pelo e torcia, pronta per la notte e per la mia prima lotta nonviolenta.
Beh, ha funzionato: mentre scrivo posso guardarlo dalla finestra della mia stanza. E’ cresciuto, e ora che è autunno le foglie sono un tripudio di colori e bellezza.
Beh, tutto questo per dire che ho risentito Natale. Un mesetto fa. Vive negli Stati Uniti, sai? E’ un ricercatore, sta seguendo un progetto per il post dottorato alla Cornell University, vorrebbe tornare in Europa, chissà, forse il prossimo anno. In Italia sarà dura, visto il nostro sistema malato che poco investe sui cervelli, ma non voglio deviare verso discorsi socio-politici, quelli che ti annoiano dopo due minuti.
Comunque a dicembre viene in Italia. Per le vacanze di Natale. Sofia e suo padre lo aspettano impazienti. E se devo dire la verità anche in me qualche farfalla fuori stagione ha deciso di risvegliarsi e farsi sentire. Sì lo so che devo andarci piano con la fantasia, però che ci vuoi fare, sai che sotto sotto sono un’inguaribile romantica. E che credo nei segnali. Lui ha diverse storie brevi alle spalle e la voglia (a sua detta) di stabilità, io pensavo di aver ormai mandato in pensione anticipata le farfalle e invece eccole qua.. Sarebbe una bellissima storia da raccontare, non credi? Nel caso sappi che ti autorizzo a scriverla, so che saresti certamente più poetico di me.
Comunque gli ho mandato una foto dell’albero. Mi ha detto che quando è partito, tanti anni fa, aveva messo il suo vasetto accanto al mio sperando me ne prendessi cura. Ovviamente non mi aveva detto nulla, ma sai che credo alle comunicazioni sottili e non verbali. Beh era entusiasta di sapere che il suo acero è cresciuto e che lo aspetta qui.
Pensavo di addobbarlo con delle palline colorate e un fascio di luci (a led, ovviamente). Non ho mai amato il Natale però gli addobbi naturali e le luci sì. Sanno di poesia.
Dai, tutto sommato ne è uscito uno spunto un po’ sentimentale in sintonia con il tema, o vuoi che scriva ancora del consumismo occidentale e dell’ipocrisia dei regali?
Quest’anno aspetto il Natale sorridendo. Forse per la prima volta. Guardo fuori dalla finestra e non vedo l’ora che arrivi questo inverno che per me sa di primavera.
Spero di esserti stata utile,
un caro abbraccio amico mio,
Elena


elenaElena Gasparri

Da sempre appassionata di scrittura, danza e natura, dopo gli studi ed esperienze per il mondo, torna nel paese di origine, in provincia di Milano, dove ricopre l’incarico di assessore alla Cultura e Vicesindaco.
Fa parte de “Il vizio di scrivere“, gruppo di appassionati scrittori che si ritrova all’inizio di ogni stagione per condividere parole nate da titoli estratti a sorte, come modo per stimolare la creatività.


vizio in bianco e nero
vizio di scrivere

Tiziano Viganò e il Gruppo de “Il vizio di scrivere”

Di questo  gruppo  faccio parte anche io. C’ero quel giorno, quando Elena si è ritrovata come argomento estratto a sorte il Natale, e nel giro di poche ore ha scritto questo racconto, nello spirito del gruppo e delle giornate che ci vedono insieme. Il tutto sotto la guida di Tiziana Viganò.

 

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Tiziana Viganò

Milanese, redattrice e iconografa per molti anni presso un’importante casa editrice, è ora scrittrice, giornalista e blogger. Il lavoro sul campo come Counselor (psicologia di sostegno), le esperienze di volontariato e i viaggi sono fonte infinita di ispirazione per i suoi scritti. Nel 2016 ha pubblicato “Sinfonia nera in quattro tempi” il giallo di Legnano (Youcanprint), e “Come le donne”, seconda edizione illustrata, (PMedizioni).
Collabora a vari siti web ed è autrice di http://tizianavigano.blogspot.it cultura libri e società, http://ilgustoeilgiusto.blogspot.it benessere e cucina
Seleziona e presenta i libri per “Happy Hour con l’autore” a Legnano e conduce la giornata per scrittori “Il vizio di scrivere”.


Oggi è proprio Tiziana Viganò a rispondere alle nostre domande sul Natale

1) Qual è il Natale che ricordi con particolare attenzione e perché?

Primi anni Sessanta.
La tovaglia ricamata dalla nonna e l’apparecchiatura delle grandi occasioni fanno da sfondo, composto e formale, nella grande sala, a un nugolo di bambini vocianti dai cinque ai sette anni, che corrono attorno calpestando carte colorate, fiocchi e biglietti sparsi sul pavimento. Qualche urlo degli adulti cerca di fermare il chiasso invano, del resto il Natale è la festa dei bambini!
Sei cugini con altrettanti genitori, tra cui due sorelle che hanno sposato due fratelli, mancano le due nonne che sono scomparse, ma rimangono a troneggiare i due nonni, patriarchi che non potrebbero essere più diversi. Uno alto alto, magro magro e allampanato, Carlo, vestito con completo grigio, con una perenne sigaretta che penzola sull’angolo della bocca, la voce roca da fumatore incallito; l’altro, Gino, basso di statura e con un pancione mica da ridere, con una delle sue perenni giacche da camera, comode comode, non ricordo di avergli mai visto un abito formale classico. Molto classica invece la sua vociona da tenore lirico, non più adatta ai teatri ma sempre così potente da far tremare i timpani di tutti: un po’ diverso da quell’uomo magro ed elegantissimo che, con i vestiti di scena delle opere, calcava il palcoscenico negli anni Venti.
Tanta gente davvero in casa, che non è piccola ma sembra diventata una scatola di sardine. In cucina si litiga, non è una novità, e quando mai i padroni di casa sono d’accordo su qualcosa?
Nel caos emerge il profumo di cibo tradizionale milanese, che comincia a solleticare il naso e la gola di tutti: non mancano mai il famoso paté di nonno Gino, il cocktail di scampi e il salmone affumicato, il risotto con lo champagne o i tortellini in brodo e gli arrosti di varie carni, assolutamente il cappone bollito con la mostarda di Cremona, i cardi con la panna, la frutta secca, l’ananas, il panettone (solo di pasticceria) con la crema di mascarpone e zabaglione. Da scoppiare.
Ci vogliono ore per ingurgitare tutto e altrettante per mettere a posto la cucina, ma con tante donne non è un problema. Le zie, belle come le maggiorate dieci anni prima, ora hanno il girovita un po’ più largo dopo i parti, la mamma piccola di statura, bionda, sempre un po’ arrabbiata chissà di che, con voce da soprano che vuole imitare in tonalità e volume quella del padre; il papà e gli zii ancora giovani e in carriera, si raccontano i problemi del lavoro che però sta funzionando bene negli anni del boom economico. I nonni dominano la situazione un po’ in disparte, senza troppo partecipare alle chiacchiere: uno continua a mangiare e l’altro fuma, avvolto nella nebbia.
Noi bambini siamo scappati da tutte le parti dopo aver piluccato il cibo, alle prese con i nuovi giocattoli, che ci importa delle chiacchiere dei grandi? Quando il buio sta scendendo, guardando fuori dalla finestra io vedo nell’aria fiocchi bianchi in movimento e mi metto a gridare «La neve! La neve!» e in un attimo siamo tutti fuori sul balcone a cercare di catturare i cristalli di ghiaccio per mangiarci il sorbetto più buono che ci sia. Il bianco Natale non poteva mancare alla tradizione.

2) Se potessi scegliere, cosa vorresti ti regalassero per Natale?

Senz’ombra di dubbio il giro del mondo in x giorni…tanti quanti ho voglia di stare in giro. Troppo? Beh, sognare non costa nulla!

3) Se pensi al Natale, quale racconto, romanzo o poesia ti viene in mente?

Tra i romanzi non può mancare “Il Natale di Poirot” della mia adorata Agatha Christie, la mia giallista preferita, che ho cominciato a leggere a dodici anni, quando un’amica di mia madre mi ha regalato il suo primo libro, “Poirot a Styles Court”: un romanzo classico, con un bell’ “omicidio nella camera chiusa” che segue una cena natalizia tra un bel gruppo di parenti-serpenti. La prima poesia che mi viene in mente è “Lenta la neve fiocca fiocca fiocca” di G.Pascoli che è intitolata “L’orfano”, ma ha un’atmosfera particolare e un ritmo che mi ricorda il Natale.

4) Non è Natale senza… continua tu.

Neve, ma oggi non possiamo più avere questa certezza, magari avremo un sole favoloso! regali e sorprese, paté alla milanese di nonno Gino e cocktail di gamberetti.

5) Pandoro o panettone?

Panettone forever! Un dolce a cui non so resistere, sono capace di mangiarmene uno intero in due giorni. Per fortuna (o per disgrazia?) mi piace solo di pasticceria, costosissimo, e lo fanno solo a Natale per cui non corro il rischio di abbuffarmi tutto l’anno…mi viene da piangere… Il pandoro? Buono, ma non c’è paragone, lì sì che mi limito a una fettina soltanto.

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