Oggi è un giorno felice

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Ce ne stiamo a guardarci, io e Hadiya, mentre in lontananza la barca si avvicina. Guardiamo i nostri visi aridi, la pelle secca, i capelli sporchi e i vestiti unti. Hadiya era un’insegnante, le piacciono i bambini, mai avrebbe pensato di ridursi così. Buttata. Gettata via, come un cencio usato. A trent’anni non interessi più come oggetto sessuale, sei vecchia e malconcia. La sabbia del deserto libico ti graffia, quando il vento si alza e ti sfiora le guance. Sembra quasi una carezza, quel vento.

A pochi metri un’altra donna tiene accanto a sé un bambino, chissà dove ha preso quella radio? Il bimbo gioca e vive in un mondo tutto suo. Il sole sta calando sulla baia di Sebratha e siamo in trecento ad aspettare la barca. E’ il fumo della raffineria a guidarla, naviga sotto costa, lenta.

Hadiya è stata stuprata e venduta a una banda di libici da un Babu: un anziano, un nonno della sua famiglia. Sorride a quel bambino. Lui balla, il suo corpo ondeggia a tempo con la musica, la radiolina nera, come un sasso magico fa scomparire i ricordi e ti proietta nel futuro.

E tu vuoi viverlo quel futuro, ci credi. Credi che al di là del mare il mondo sia diverso. Il mare può cancellare tutto: I giorni chiusi in quella stanza, le grida, le risate di scherno.

Bianca è la schiuma dell’onda che s’infrange sulla spiaggia. Bianco il sorriso del bambino che ti invita a ballare, Il fumo delle sigarette, che gli uomini in circolo si passano. Ti guardo Hadiya, come solo un innamorato può guardare, con gli stessi occhi felici di quel bambino. Tu sei la mia musica, quella che mi fa ballare. Non importa se ho perso tutto, se ho dovuto bere la mia urina per arrivare fin qui. Se il sole scotta e brucia sulle ferite.

C’è il mare.

Ora sono qui, seduto accanto a te e nulla mi fa paura, perché sento le tue mani fondersi con le mie, intanto che la barca si avvicina. Siamo stati bambini anche noi Hadiya e ti piace, per un attimo, pensare di esserlo ancora. Ti alzi e canti. La gonna, con i suoi disegni a scacchi verdi e gialli, si agita aderendo ai tuoi fianchi. Balli e altri bambini si radunano a formare un cerchio.

Oggi è un giorno felice.

– Abayomi vieni anche tu a ballare – mi gridi. Io rimango seduto e ti sorrido, voglio far riposare le mie ossa ancora un po’. Il viaggio sarà lungo. La marea crescente aiuta la barca. Sembra più grande di quanto pensassi. Vista all’orizzonte era un puntino bianco, rosso e verde. Adesso è più vicina, anche se mi chiedo come faremo a salirci tutti. Qualcuno parla dell’Italia, mi offrono da fumare, ma io ho fame.

– Come ti chiami? – chiedo al bimbo con la radiolina – Zahur – risponde lui. Gli occhi brillano di innocenza e vitalità. La radio comincia a gracchiare, la musica si fa confusa, poi si spegne, forse le batterie si sono esaurite, ma non la gioia del ragazzo. Si avvicina ad Hadiya e gli mostra un soldo, lo morde e le dice: – E’ una moneta vera, sai! Io diventerò ricco, ne avrò tanti di queste e mi comprerò una radio grande così – allarga le braccia come se potesse contenere il mondo intero.

– Allora conosci quel proverbio swahili che dice Elfu huanzia moja (le migliaia cominciano da uno).

Ci guardiamo io e Hadiya, ridiamo.

Oggi è un giorno felice.

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