Essere Padre: ovvero il passetto

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Oggi ho giocato a biliardino con le mie figlie e ho pianto.
Eravamo in Oratorio e la più grande, che ha undici anni, mi ha tirato per un braccio e mi ha detto: “Papà, papà! Vieni a giocare a biliardino?”. Subito ci è venuta dietro  la mezzana, che di anni ne ha solo nove; e quando ci ha visto giocare anche la più piccola (solo sei anni) si è unita a noi, ma considerata la sua altezza (si fa per dire) poteva soltanto rimettere la pallina in campo.
Il mio cuore si è riempito di orgoglio, non mi sembrava vero che mi volessero coinvolgere e avessero piacere di giocare con me, nonostante la mia scontrosità, il mio essere burbero, la mia lontananza dai loro vissuti. Io, un padre troppo occupato per loro, preso dai miei impegni e problemi lavorativi.
Naturalmente ho vinto, le ho stracciate, anche se giocavo al rallentatore. Ma quella mano, che mi ha tirato il braccio e mi ha trascinato a giocare, mi ha dato più felicità di mille vittorie. Ma soprattutto, mai avrei creduto che una partita a calcio-balilla sarebbe stata in grado di ricordarmi che sono padre.
Che significa essere padre?
Un giorno la tua compagna, tua moglie, la tua fidanzata oppure la tua amante, comunque generalmente una donna (almeno per adesso), con il viso più o meno sorridente ti dice: “Sono incinta”. Da quel momento sei padre, ma forse non te ne accorgi finché non arriva l’esperienza magica del parto. Dove, tra le voci del personale medico che cercano di tranquillizzarti e la mano di lei che ti stritola il braccio (mentre urla versi disumani), vedi spuntare da quella fessura (si proprio quella, “la fessura” per cui bramavi tanto),  fare capolino la sua testolina. Ancora qualche spinta, le ultime grida e “lei” viene fuori. Il dottore la piazza tra le tue mani e tu controlli che abbia proprio tutto: due braccia, due gambe e dopo averle contato anche le dita dici: “Uaoo! Questa è mia figlia, è bellissima!”.
L’euforia finisce in fretta, alla prima notte con le colichette di fronte ai suoi pianti disperati. Quando poi ti accorgi che “lei” (la tua bellissima figlia) è un po’ imbranata, ha scarse capacità atletiche e a nove anni non sa ancora andare in bici, ti convinci che non è figlia tua, anche se ufficialmente sei il padre.
Quali sono i compiti di un padre?
Ci sono sicuramente una marea di libri che ti spiegano come essere un buon padre (tutti di psicologi o pedagoghi americani, al massimo svedesi o olandesi, mai visto un libro di un pedagogo cinese o arabo). Questi libri sono generalmente comprati da tutti  i neo-genitori, ma secondo me nessun papà li legge. Non hai tempo; e poi francamente, per quel che mi riguarda, l’unico momento dedicato alla lettura è quando vado in bagno, dove ho la mia collezione di Tex che mi aspetta.
Anche io ho avuto un padre, anzi a dir la verità ce l’ho ancora. Ci ho pensato, quando in Oratorio giocavo al biliardino con le mie figlie. Mi sono ricordato che non ho mai giocato a calcio-ballila con mio padre e non mi venivano alla memoria giornate passate a scherzare e giocare con lui. L’unica cosa che mi tornava in mente era la frase che mi diceva quando era intento a fare qualche lavoretto domestico: “Ruba con gli occhi”, questo mi diceva. Io potevo solo guardare, essendo imbranato e incapace non mi era concesso di “fare”, ma potevo imparare osservando.
Così quando mia figlia mi ha chiesto: “Ma Papà come si fa a fare quel movimento lì?” l’ho guardata; ho rifatto il passaggio della pallina da un ometto all’altro della stessa asta calciando in rete e le ho risposto: “Questo? Il passetto”.
Mi sono detto che forse essere un buon padre significa semplicemente insegnare a fare il “passetto” alle proprie figlie e mi è scappata una lacrimuccia.

 

4 Risposte a “Essere Padre: ovvero il passetto”

  1. io non sono padre ma credo che esserlo significhi, oltre alle responsabilità che comporta verso quel fagottino che poi crescerà ed avrà sempre più bisogno di te per molte ragioni, anche per piccole cose ed anche vivere pezzi di vita importanti con lui o lei “insegnando” anche piccole cose ma soprattutto regalando momenti di vita insieme che non dimenticheranno mai. Io ricordo tante cose di quando ero piccolo con mio padre, ed ancora adesso capita a volte che gliene parli, tra queste le gite domenicali al mattino insieme ai parchi. Il confidarmi con lui crescendo, chiedergli consigli, insomma tante cose. Insegnare il “passetto” è proprio uno di quei momenti, ma tu questo e quanto ho commentato qui lo sai benissimo e non era neanche forse il caso che lo scrivessi 🙂

  2. Io sono padre, con mia figlia ho un modo di fare in parte diverso rispetto a quello che mio padre ha sempre avuto con me, però non credo che esista un “metodo”, ognuno deve seguire il proprio istinto. Anche perché, nonostante il diverso approccio, mia figlia ora denota gli stessi problemi che io avevo alla sua età. Il “metodo” paterno quindi si è rivelato secondario.
    E comunque voglio un gran bene a mio padre e spero che mia figlia me ne voglia allo stesso modo.

    1. Hai centrato esattamente il problema, nessun libro può insegnare ad amare. Si fanno tanti errori con i figli. Io cerco sempre di ricordarmi che loro sono “altro” da me, senza pretendere o aspettarmi delle cose. Se posso, provo a donare cio di cui sono capace, non molto forse….

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