Sette vizi per sette scrittori – Barbara Fiorio e l’accidia

Photo by Roberto Di Veglia

Oggi parliamo di Accidia. 

Dante immerge gli accidiosi nella palude dello Stige, non si vedono ma se ne intuisce la presenza dal gorgogliare dell’acqua.

Hieronymus Bosch, invece, rappresenta l’accidia nell’immagine di un borghese seduto davanti al camino, il capo appoggiato mollemente a un cuscino, se ne sta sonnacchioso mentre una suora lo invita alla preghiera porgendogli un rosario.

Ma è veramente un peccato essere indolenti?

Fare i pigri, quelli che ciondolano in giro tutto il santo giorno senza combinare niente.

Pigrizia andò al mercato, un cavolo comprò, mezzogiorno era suonato quando a casa ritornò…

Ogni volta che faccio la pigra, ripenso a questa filastrocca che mi recitava mia madre (che tutt’ora ricorda e, qualche volta, la ripetiamo insieme) mi ridimensiono e mi metto a scrivere.

Scrivere è bello. Vogliamo dirlo? Scrivere mi piace, mi entusiasma.

Sono pigra lo ammetto! Ma una volta che digito i tasti sul computer per formulare frasi fino ad arrivare a un testo scritto, beneficio del piacere della scrittura e mi chiedo:

Perché mi impigrisco, non mi do una scossa, lascio passare il tempo e non scrivo?”

Perché sei pigra, quando ti ci metti, e ti riesce bene”. Risponderebbe la mia vocina interiore.

E mi domando ancora:

Pigri si nasce o si diventa?”

Scrivi e non pensarci. Risponderebbe la solita vocina. Penso solo che la pigrizia è proprio un brutto viziaccio.

L’accidioso si annoia nonostante si culli nel suo ozio. Se fosse per lui, non concluderebbe nulla.

Proprio in aiuto degli scrittori prigri che è nata l’iniziativa di Barbara Fiorio, la scrittrice che abbiamo intervistato e che ha ideato il laboratorio di scrittura “Gruppo di supporto per Scrittori Pigri” meglio conosciuto come GSSP. Un laboratorio online pensato per chi vuole mettersi alla prova con la scrittura narrativa, per chi cerca la propria voce o per chi semplicemente ha bisogno di una scusa per scrivere qualcosa ogni settimana.

Grazie Barbara per aver partecipato alla nostra iniziativa.

Barbara Fiorio (Genova, 1968), formazione classica, studi universitari in graphic design, un master in marketing communication, ha lavorato per oltre un decennio nella promozione teatrale ed è stata la portavoce del presidente della Provincia di Genova. Tiene corsi e laboratori di comunicazione e di scrittura, tra cui il Gruppo di Supporto Scrittori Pigri (GSSP). Ha pubblicato il saggio ironico sulle fiabe classiche C’era una svolta (Eumeswil, 2009) e i romanzi Chanel non fa scarpette di cristallo (Castelvecchi, 2011), Buona fortuna (Mondadori, 2013), Qualcosa di vero (Feltrinelli, 2015) e Vittoria (2018). I suoi libri sono tradotti in Spagna e in Germania.

Ecco le nostre domande e …Buona lettura!

  • Che rapporto hai con l’accidia?

Il mio con l’accidia è un amore incoerente, perché di base io sono una specie di furetto, quando devo fare qualcosa, un giocoliere del multitasking, faccio delle mie giornate un tetris perfettamente calibrato dove riesco a calcolare anche il margine di imprevisto. Quindi posso pulire tutta la casa in due ore, mentre la lavatrice gira, risolvere un paio di telefonate finché non uso l’aspirapolvere, poi valutare una quindicina di esercitazioni consegnate dagli Scrittori Pigri, andare in palestra e finire la serata a teatro.
Ma quando sono accidiosa, uh! se sono accidiosa. Posso fare la conca sul divano per ore, mangiare direttamente dal frigo aperto, vedere tre puntate di serial su Netflix e fare anche un pisolino pomeridiano mentre la casa va in cancrena e rotoli di peli di gatto passano nel corridoio con una musica western in sottofondo.

  • Ti è mai capitato un periodo di pigrizia, di indolenza in cui non riuscivi a scrivere? Come l’hai superato?

Mi capita spessissimo e sono sempre periodi molto lunghi. Io non sono una disciplinata, tutta la mia mania del controllo la concretizzo all’esterno, dentro c’è un disordine totale, posso passare anche un anno senza alcuna idea per nuove storie, di solito in quel periodo mi convinco che basta, è finita, non ne arriveranno più. Poi arrivano. Ma credo di prenderle per stanchezza: quando capiscono che io non le andrò a cercare decidono di venire loro a bussarmi in testa altrimenti facciamo la notte dei tempi.
Quindi non posso dirti di averlo superato. Si supera da solo, che se aspetta me…
E ciò che più mi fa arrabbiare, di me, è che so benissimo – perché lo so, lo vedo, lo sperimento – che quando scrivo tutti i giorni la scrittura si riattiva come un muscolo e tutto diventa pian piano più fluido e più facile. Se io mantenessi questo rigore, questa costanza, forse non avrei nemmeno quei lunghi periodo di assenza di idee, ma niente, sono pigra.

  • Secondo te possono essere utili dei periodi di torpore, di svogliatezza, per prendere poi lo slancio nel raccontare una nuova storia?

Be’, per esperienza personale posso dirti di sì. In realtà è come se la mia mente si pulisse, si disintossicasse, si riposasse per tornare pronta a lavorare. Certo, qualcosa lo devo fare anche io, eh. Per esempio leggere di più e buoni libri. Io non sono una veloce a leggere, ma fino ad alcuni anni fa due o tre libri al mese li leggevo (spesso quattro), adesso mi sono resa conto che tra laboratori di scrittura, la stesura e l’editing dei miei romanzi e – ammettiamolo – il tempo preso dai social, oltre che dai serial tv di cui sono appassionata, il tempo per la lettura si è ridotto drasticamente. Davvero drasticamente, in un modo imperdonabile.
Mi posso perdonare e concedere i serial, perché ogni tanto ho bisogno di staccare testa e occhi dalla parola scritta, ma sui social non mi perdono. Quello, per me, è davvero tempo sprecato. Non parlo dei contatti diretti con le persone, parlo delle manciate di mezz’ore che scorrono sullo schermo a leggiucchiare un po’ di niente e un po’ di tutto, con vera e pura accidia. Quello non arricchisce, non nutre, non migliora.
Mentre leggere buoni libri restituisce il vocabolario, rimette in moto la mente, la scrittura, il senso narrativo.
Quindi sì ai periodi di torpore – ricordiamoci anche che un’idea prima nasce in testa, anche solo guardando fuori dalla finestra, quando sembra che non stiamo facendo niente, ma pensare e creare non sono “
niente” – ma no allo spreco di tempo in modo depauperante.

  • Quali sono dei libri, se ci sono, che ti hanno fatto sbadigliare e pigramente li hai dimenticati sul comodino senza ultimare la lettura?

Oddio, qui potrei davvero inimicarmi pletore di lettori.
Ammetto di non essere mai riuscita a leggere tutto “Donne che corrono coi lupi”, mi stramazzava di noia, ma – lo confesso – ho abbandonato anche “Il lamento di Portnoy” sentendomi terribilmente in colpa per non riuscire a entrare nella storia, nonostante la scrittura di Roth. Non sono gli unici che son finiti a far polvere con un segnalibro a metà o anche meno. Va detto che per alcuni libri è anche questione di momento giusto, ci sono libri che avevo abbandonato ma che poi, riprendendoli in mano, ho divorato.
Però sì, ci sono un paio di pile sul mio comodino che si sono rassegnate a non rivedermi più.
Vi ho già detto due titoli, non ne confesserò altri.

  • Quale libro, se ce ne è uno, in cui è stato affrontato il tema dell’accidia e ti ha convinto oppure deluso?

Al momento non me ne viene in mente nessuno. Chiedo l’aiuto del pubblico.

  • Pensi che l’accidia possa essere considerato ancora un vizio, un peccato capitale, quelli che Aristotele definì gli “abiti del male”?

Mah, dipende come la vogliamo intendere. Come dicevo prima, se parliamo di periodi di torpore e svogliatezza, possono anche essere rigeneranti. Quello che a me preoccupa, a livello sociale, è più la pigrizia mentale. Non si ha più voglia di approfondire, di leggere, di imparare, di ragionare prima che di parlare ma anche di impegnarsi a fondo per ottenere ciò che si desidera, per conquistare, per meritare. Sembriamo tutti, o molti, preferire essere nutriti con boli premasticati, opinioni già confezionate, indignazioni pronte all’uso, battaglie da tastiera. Leggiamo solo i titoli, non capiamo una frase complessa (pare che l’analfabetismo funzionale sia una vera e propria piaga in Italia), la grammatica è un optional, tanto abbiamo il correttore automatico su Word, la memoria non serve, tanto c’è Google.

Ecco, questo credo sia un abito del male, la mancanza di uno sforzo in più, di un impegno, il valore della fatica. Ci stanca tutto subito, anche conquistare una donna che non ci dice di sì la prima sera è stancante, meglio cercarne una più disponibile. Un lavoro ci impone due ore di treno al giorno? Mh, meglio lasciar perdere e cercarne un altro più vicino. Un articolo potrebbe darci informazioni utili? Eh, ma se è troppo lungo non lo leggiamo tutto, meglio se qualcuno mette in neretto i passaggi più salienti così possiamo leggere solo quelli.
Siamo diventati questo, purtroppo. E non è bello, secondo me. Mi spaventa un po’, perché, come disse Burke, “perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione”. Ammesso che siamo i buoni, eh.

  • Quali sono secondo te oggi i peccati capitali, i mali che affliggono la nostra società, se ci sono?

Io li vedo tutti e sette e forse anche di più. Vedo la superbia, una sovrabbondanza di superbia. Vedo moltissima ira, sempre di più, sempre più espressa ed esacerbata, usata e alimentata. La gola e la lussuria ballano dei gran can-can da decenni, ma forse sono quelle che mi preoccupano meno, finché sono gestite tra adulti consenzienti. L’avarizia c’è ma forse si è trasformata più nell’egocentrismo, nel narcisismo di volere solo per sé e di pensare agli altri solo se questo ci rende più fulgidi. L’invidia, eh, l’invidia è il vizio che mi frega di più perché non la riconosco mai.
In generale, mi sembra che ci sia un individualismo sempre più estremo e un azzeramento di quei valori che fanno di una società una società evoluta, parlo banalmente della buona educazione, del rispetto, della gentilezza, oltre che della cultura.
Siamo tutti ombelichi del mondo e alleviamo figli a cui ripetiamo continuamente che sono il centro dell’universo, trattandoli come tali.
Mi pare che sia stato stravolto il concetto di libertà, portandolo all’estremo, alla mancanza di attenzione per chi e ciò che ci circonda, a uno stravolgimento delle priorità. Quel
prima vengo io a mio parere molto discutibile e dannoso per la collettività.
C’è anche una presunzione incommensurabile – la superbia, appunto – che fa sentire tutti sullo stesso piano di chiunque, tutti autorevoli su qualunque argomento, cosa che non è affatto né deve essere. Questo livellamento ci sta trascinando verso il basso, non si punta più all’eccellenza ma all’appiattimento, all’omologazione. Perché è più facile. E si torna al concetto di accidia.

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