La prima volta de “La voce di Calibano”

È festa: da oggi si parte con la celebrazione del primo anno di collaborazione tra me e Tiziana. Inoltre vogliamo brindare anche al nuovo collaboratore: Roberto, che con le sue foto impreziosisce le nostre e le vostre storie…sì perché per festeggiare vi abbiamo chiesto di inviarci un racconto che avesse come argomento “La prima volta”, e per ogni racconto abbiamo voluto che Roberto “introducesse” la storia con una sua foto.

Il primo amore, il primo pianto, la prima auto, la prima moglie, la prima volta allo stadio, il primo 30 all’università, il primo bacio, il primo appuntamento, il primo schiaffo ricevuto oppure dato…il primo calcio a un pallone, la prima volta in bici, la prima in treno e quella in aereo, insomma quante prime volte ci sono nella nostra vita, quale argomento migliore per raccontare una storia.

Quindi, a partire da oggi, pubblicheremo i racconti che ci avete inviato.

Oggi inizieremo con il racconto di Alberto Cassone che potete leggere anche su https://tracconto.wordpress.com/

 


PER ALCUNE PERSONE, LA PRIMA VOLTA  È SEMPRE ANCHE L’ULTIMAfoto Cassone firmata

 

La prima volta che trovai una banconota per terra fu anche l’ultima. Infatti, nelle prigioni italiane non si trovano mai, assolutamente mai, banconote per terra.
Quel piccolo miracolo cartaceo era apparso al mio sguardo basso e avvilito mentre passeggiavo da solo nel centro commerciale “Aria Fresca” di Corgeno (PF). Se ne stava sdraiato sul pavimento, immobile, attendendo il suo uomo. Era un sabato pomeriggio invernale di quattro anni fa e la banconota valeva 1000 euro. Somma sfortuna volle che, in un giorno come quello, sarebbe servito ben altro per tirarmi su di morale.
Non esitai, ad ogni modo, a raccoglierla. La regalerò a un povero, mi dissi. Oppure la cambierò in banca, in monete da 2 euro, per poterla regalare a 500 poveri.
Come trovare cinquecento poveri tutti contemporaneamente, però? Nessun problema, continuavo a dirmi: mi porterò da casa una moneta al giorno, per cinquecento giorni.
Un uomo, che mi parve da subito repellente, si avvicinò e mi rivolse la parola. Era vestito indecentemente e indecentemente parlava; riuscii a comprendere solo la sua vile intenzione: quella di spillarmi dei soldi. Ma ero uscito di casa senza un centesimo in tasca. Ero andato al centro commerciale per farmi del male, per soffrire, per vedere tutte le cose che non potevo più comprare, avendo perso il lavoro pochi giorni prima. C’ero andato senza alcun soldo e, adesso, mi si chiedeva l’elemosina. Che ridere!
Stavo per scostarmi e allontanarmi dall’ignobile mendicante, quando mi ricordai di aver appena raccolto una banconota del valore di 1000 euro. L’avevo messa in tasca e l’uomo non poteva avermi visto. Adesso avrei potuto comprare tutto quello che vedevo. La fortuna mi aveva sorriso! Il mio infantile gioco masochista si sarebbe tramutato in sfrenata gioia consumistica. Non avevo alcuna voglia di pensare al futuro: ero andato all’”Aria fresca” per dimenticare soffrendo, invece il destino aveva decretato diversamente: avrei dimenticato godendo!
Il poveraccio aveva certamente notato il mio sguardo ghignante nel vuoto, perché mentre così riflettevo si era allontanato, avendo evidentemente rinunciato alla speranza di ottenere qualcosa da me.
Sì, se n’era andato via, senza inutili parole, in preda a chissà quale emozione, a chissà quale disperazione. No. Li donerò ai poveri, mi dissi, toccando la tasca sinistra dei pantaloni per controllare che la banconota fosse ancora lì.
Non c’era.
Nella tasca destra, neanche.
Scattai verso l’uscita. Il mendicante era lì, ma si muoveva rapidamente. Accelerai, in preda a un cieco furore, e lo raggiunsi.
“Ridammi i soldi!”
“Capo, io no italiano. No capisce”.
“I soldi!! Dammi i miei soldi”!!!!
“Amico, io no tuo soldi. Tu pazzo?”
Quella parola. No, non quella parola. Non “pazzo”.
Avevo giurato a me stesso, subito dopo il licenziamento, di non permettere più a nessuno di pronunciarla contro di me. No. Non l’avrei perdonato.
…………………………..
Forse sarebbe stato meglio non avere studiato arti marziali da giovane. Sicuramente sarebbe stato meglio per quel pover’uomo; ma anche per me, mi dicevo, mentre scattavano le manette. Inutile sperare: sapevo bene che all’ergastolo, quella volta, non sarei riuscito a scampare.


Alberto Cassone
Nato a Roma da genitori sanseveresi, cresciuto in periferia, emigrato a Praga, rientrato a Roma, riemigrato a Perugia e poi ad Aalborg, infine accasatomi a Foligno, insegno lingua italiana a stranieri, ho 45 anni e scrivo per provare a restituire almeno una piccola dose di quelle sensazioni di serenità, saggezza e magia che ho ricevuto in anni di letture.

 

 

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