Chiedi alla polvere

tmp_17058-afante2-817779766  di John FANTE

Io sono uno di quelli che a Roma vengono definiti: “purciari”, perché invece di comprare un libro, lo prendono in prestito in biblioteca.

Quando mi è arrivata a casa la comunicazione che “Chiedi alla polvere” era pronto, mi sono anche permesso il lusso di mandare mia moglie a ritirarlo. Lei, a differenza di me che sono un po’ ombroso, fa amicizia con tutti, ovviamente anche con la bibliotecaria.

“Giulia mi ha detto che questo libro è uno di quelli che consigliano anche per i ragazzi delle scuole medie.”

Mia moglie sembrava quasi contenta quando tornata a casa mi porgeva il libro, pensava che avrei potuto leggerlo alle bambine, prima di andare a dormire.

Eppure qualcosa mi diceva che non l’avrei fatto.

L’edizione che avevo scelto aveva la prefazione di Bukowski, era una vecchia edizione, perché nelle nuove c’è invece quella di Alessandro Baricco. Così per prima cosa ho iniziato a leggere la prefazione, cosa che in genere non faccio mai, ripromettendomi di chiedere in prestito anche la nuova edizione e confrontare le due introduzioni.

Bukowski è un vero e proprio fan di Fante, lo ha conosciuto anche lui in Biblioteca, quando era ubriaco ma non ancora famoso, conosciuto nel senso che si è trovato per caso in mano questo libro e per lui è stata come una rivelazione.

Finalmente qualcuno che scrive in maniera vera, viscerale.

Poi ho iniziato a leggere il romanzo. Fante racconta la storia di un giovane scrittore, Arturo Bandini un italoamericano, che vive con pochi soldi in un infimo alberghetto della California e che si innamora di una cameriera messicana. La storia d’amore non decolla, nonostante i due in qualche modo comincino a frequentarsi. La cameriera sembra preferire un “wasp” americano che lavora nel suo stesso bar.

Decolla invece la carriera di Bandini come scrittore, in maniera inversamente proporzionale alla storia d’amore. La cameriera si perde dietro al “wasp” e va a convivere con lui ammalato di tisi, isolato dalla vita sociale e autoconfinatosi nel deserto del Mojave. Qui Bandini va a cercare Camilla (questo il nome della cameriera). La donna non c’è, allora Arturo chiede all’americano dove si sia cacciata, lei e il cagnolino che le aveva regalato. Lo chiede a tutto il deserto, anche alla polvere, ai granelli di sabbia che coprono ogni cosa.

Lirico, ironico e amaro, come solo Fante sa essere.

Nel libro ci sono anche digressioni con altri personaggi: un compagno di albergo di Bandini, (Hellfrick), un uomo anziano, veterano della grande guerra, alcolizzato, con cui Bandini, per la fame di carne (di una bella bistecca), organizza il furto di una vacca. Altro personaggio è Vera Rivken, una donna ebrea non più giovane, che si innamora di Arturo sin dal primo giorno che lo nota in un bar. Donna con cui Arturo giace immaginando di fare l’amore con Camilla; spunto per parlare dei sensi di colpa generati dalla morale cattolica.

Che tipo quel Bandini, che parla in continuazione a se stesso, rappresenta in pieno il mio immaginario di italoamericano: me lo vedo cantare sul balcone, là dove il mare luccica e tira forte il vento, (parafrasando Dallamericaruso).

Che differenza invece tra Bukowski e Baricco. L’italiano nella sua introduzione disseziona il romanzo con l’abilità di un chirurgo e con poche righe lo riassume: Chiedi alla polvere è un romanzo costruito su tre storie. Prima: un ventenne sogna di diventare uno scrittore e in effetti lo diventa. Seconda: un ventenne cattolico cerca di vivere nonostante il fatto di essere cattolico. Terza: un ventenne italomericano si innamora di una ispanoamericana e cerca di sposarla. Il tutto a bagno nella California.

Chapeau per lo scrittore torinese, che come gli artigiani di cui è innamorato (soprattutto della loro capacità di costruire qualcosa di bello per sé e per gli altri) analizza il romanzo di Fante con metodologia scientifica, ma con una prosa accattivante, conducendo il lettore all’interno del gesto di scrivere. Ci mostra così, come fossimo davanti a un video, la costruzione del racconto.

Di tutt’altro tenore Bukowski: Ero giovane, saltavo i pasti, mi ubriacavo e mi sforzavo di diventare uno scrittore. Le mie letture andavo a farle nella biblioteca di Los Angeles, nel centro della città, ma niente di quello che leggevo aveva rapporto con me, con le strade o con la gente che le percorreva […] poi un giorno, presi un volume e capii subito di essere arrivato in porto […] Quando cominciai a leggere quel libro mi parve che mi fosse capitato un miracolo, grande e inatteso.

Questa è la narrazione di un amore.

Per la cronaca a mia figlia non l’ho letto… magari un giorno lo incontra in biblioteca, dimenticato sopra qualche scaffale polveroso.

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