CHE LA FESTA COMINCI

che la festa cominci  CHE LA FESTA COMINCI di Niccolò Ammaniti

“Voi pensate che stiamo giocando? E che gioco è? Un, due, tre, stella? Buzzico rampichino?”

Quando ho letto questa frase ho fatto un tuffo nella mia infanzia. Quanti di voi conoscono buzzico rampichino?
Ho fatto ricerche su internet e immancabilmente ho trovato una pagina di facebook dedicato a questo gioco.
A buzzico chi sta “sotto” deve riuscire a toccare gli altri, che scappano cercando un qualsiasi rialzo del terreno (un gradino, un marciapiede, una panchina, un muretto), per mettersi in salvo.
Mia figlia lo chiama “ce l’hai”, a Roma si chiama “buzzico” o meglio si chiamava.
Mi domando se anche Ammaniti avrà fatto ricerche su internet, sui giochi di una volta. Oppure, come me, ha fatto in tempo a giocarci, prima dell’invasione dei mostri alieni dei videogames.
Amo pensare che sia vera la seconda ipotesi. In fondo siamo quasi coetanei ed entrambi siamo cresciuti a Roma.
Questa romanità traspare fortemente in “Che la festa cominci”, non solo per l’ambientazione, ma anche per la visione del mondo, così ironicamente disillusa, quasi melanconica, a ricordare la caducità delle cose. Caratteristica tipicamente romana che si riscontra nei grandi poeti, come Trilussa e Belli o nei personaggi comici di Alberto Sordi o Carlo Verdone. Ecco “Mantos”, uno dei protagonisti della storia: capo della sfigatissima setta satanica delle belve di Abaddon, potrebbe benissimo avere il volto di Carlo Verdone.
Il libro inizia intorno ad un tavolo di una pizzeria di Oriolo Romano, (paesino dell’entroterra romano), dove Saverio Moneta in arte Mantos, leader della setta è preoccupatissimo dell’andamento del gruppo, (visto che ormai sono rimasti in quattro). Bisogna trovare un atto di satanismo estremo per risollevare le sorti della setta. Ammaniti condisce questa “preoccupazione” con il dilemma per la scelta tra pizza alla marinara e le pappardelle. Il capo si giustifica davanti ai suoi adepti con la nascita dei gemelli. “ Vabbè ragazzi… Dovete pure considerare che ‘sto periodo è stato molto duro per me. La nascita dei gemelli. ‘Sto maledetto mutuo per la casa nuova”. Insomma argomentazioni tipiche da satanista. L’altro protagonista della storia è Francesco Ciba giovane scrittore di più di quaranta anni. Alcuni critici ci hanno visto l’alter ego dello stesso Ammaniti, personalmente per alcuni tratti: il fatto di essere famoso per una trasmissione in televisione, il ciuffo, l’essere il secondo uomo più sexy d’Italia, mi ha ricordato un po’ Baricco.
Francesco Ciba rappresenta la figura dello scrittore vanesio, che snobba tutte le altre persone, come se fossero superficiali. Da “Artista” considera l’arte l’unica cosa importante, ma non vive senza le lusinghe degli altri, di cui si nutre e come ogni artista che si rispetti ha una sua fobia: “Le figure di merda”.
Ma Ammaniti attraverso le parole di Paolo Bocchi, “lo scassacazzi per antonomasia”, pseudoamico di Ciba e chirurgo estetico, espone la seguente teoria:
Le figure di merda non esistono più, si sono estinte come le lucciole. Nessuno le fa più, tranne te, nella tua testa. Ma non li vedi a questi? […] Quelle che tu chiami figure di merda sono sprazzi di splendore mediatico che danno lustro al personaggio e ti rendono più umano e simpatico. Se non esistono più regole etiche ed estetiche le figure di merda decadono di conseguenza.
Sia Francesco Ciba che Saverio Moneta si ritrovano al “Party del secolo”, la mega festa organizzata a Villa Ada da Sasà Chiatti “immobiliarista arricchito”, quelli che una volta a Roma venivano chiamati “Palazzinari”. Anche Sasà è un archetipo.  È Nerone, è l’Imperatore.  Sasà ha comprato Villa Ada, un grande parco pubblico di Roma e ne ha fatto la sua residenza privata. Per l’inaugurazione ha invitato tutti i vip, mettendo in piedi l’evento del secolo: caccia alla volpe, safari e caccia indiana alla tigre (con tanto di elefanti).
Non potevamo mancare il concerto di Larita: la cantante più in voga del momento e, in considerazione dell’atmosfera romana, “la cornettata finale” alle sei del mattino.
Questo Circo di caricature creato da Ammaniti, per raffigurare le miserie e gli splendori (dipende dai punti di vista) della vita contemporanea, è uno spasso e  la sagace ironia del racconto procede spedita, fino alla svolta della comunità ipogea.
Lo scrittore si inventa una popolazione discendente da atleti russi dissenti che, all’epoca dell’olimpiade di Roma (anni 60), si sono rifugiati all’interno di catacombe nel giardino di Villa Ada.
Questo parto della fantasia di Ammaniti non mi riesce a convincere. La rivolta del popolo ipogeo che, come l’orso Yoghi a Yellowstone, si nutre di rifiuti e si sente in pericolo per la festa organizzata da Chiatti, non funziona. Fa scadere da caricatura a macchietta anche i personaggi che avevamo apprezzato fino a quel momento. Rende fiacco, senza mordente, senza interrogativi, il finale, che vi lascio scoprire da soli.
Resto comunque affascinato dallo stile di scrittura di Ammaniti, che non posso non amare anche a causa della sua “romanità”.

5 Risposte a “CHE LA FESTA COMINCI”

    1. A me è piaciuto tutto, dall’inizio alla fine, anzi ricordo che proprio quella scena nella cabina elettrica (se ricordo bene) mi ha proprio incollata al libro.

  1. Di Ammaniti avevo letto qualcosa anni fa, ma non mi aveva conquistata del tutto. Però mi piacerebbe leggere questo romanzo, se non altro per fare conoscenza con lo scrittore vanesio Francesco Ciba. 🙂 E non so perché, ma alcune descrizioni mi hanno ricordato il film “La grande bellezza”.

    1. La lettura è piacevole e scorrevole, per quanto riguarda la “grande bellezza” non saprei… perché alla fine non sono riuscito a vedere tutto il film… sicuramente ci sono descrizioni di Roma e dei personaggi che la popolano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.